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Lazzaro, un racconto

  • Immagine del redattore: Lucio Brunelli
    Lucio Brunelli
  • 19 apr
  • Tempo di lettura: 9 min

Aggiornamento: 27 apr

Che vita visse Lazzaro dopo essere stato resuscitato da Cristo? I suoi conterranei guardarono a lui come la prova più convincente della divinità di Gesù o come un fenomeno da baraccone? Dove trascorse il resto della sua esistenza e con quali pensieri affrontò la sua seconda e (stavolta) definitiva morte? Il Vangelo è avaro di notizie. Riferisce che, dopo la resurrezione, Lazzaro con le sue sorelle organizzò a Betania una cena con Gesù e ci informa che i sommi sacerdoti volevano uccidere anche lui. Poi più nulla.

Antiche fonti della Chiesa ortodossa ci raccontano di più sui "days after" del grande miracolo: Lazzaro sarebbe fuggito a Cipro, dove l'amico di Gesù avrebbe vissuto altri trent'anni; diventando vescovo di Larnaka, la città portuale dell'isola, dove sarebbe entrato in contatto con il cipriota Barnaba e con Paolo di Tarso.

Nel 2008 a Larnaka, durante un viaggio di lavoro, mi capitò di visitare la tomba di pietra dove - secondo la tradizione ortodossa - Lazzaro fu sepolto. Da allora mi appassiona il mistero della seconda vita (e della seconda morte) del redivivo piu famoso della storia. Ho cercato di leggere e studiare le fonti disponibili. Ho provato ad immaginare i sentimenti di Lazzaro. Ne è nato questo breve racconto di fantasia pubblicato su L'Osservatore romano il19 aprile, sabato santo.



Il sole s’era appena levato sui tetti di quelle casupole bianche. Lazzaro si alzò dal suo giaciglio e sbirciò attraverso una piccola fessura tra la porta e la parete di pietra. Erano già lì. Non riconosceva nessuno in quei volti. Ormai non venivano solo da Betania ma da tutta la Giudea, qualcuno persino dalla Samaria e dalla Galilea. Pronti ad avventarsi su di lui. Volevano vedere che faccia avesse un resuscitato, scrutavano ogni ruga del suo volto, ogni mossa della sua andatura, perché quella portentosa magia doveva aver pur lasciato qualche segno misterioso nel suo corpo. Qualcuno, piuttosto fantasioso, aveva raccontato che i suoi occhi emanavano una luce sovraumana. Poi c’erano quelli che non s’accontentavano di vedere ma volevano sapere: “Lazzaro, cosa ha visto la tua anima in quei quattro giorni?” Un tipo di nome Filippo, proprietario di un vigneto, aveva messo in giro la voce che il resuscitato non rideva mai, tanto era rimasto sconvolto dalla visione di quello che i rabbini chiamavano il “mondo a venire”, la ha-'olam ha-ba. Altri ancora sostenevano che Cesare in persona aveva intenzione di convocare il resuscitato alla sua corte: “vuole carpirgli il segreto dell’immortalità”, si mormorava. Balle, naturalmente.

Non tutti erano così. Alcuni compaesani dopo il miracolo s’erano messi a seguire Gesù. Ma i disturbatori che assediavano la sua casa erano mossi solo da curiosità. Lazzaro non li sopportava più. Un fenomeno da baraccone, questo era diventato. A volte, esasperato, si sorprendeva a pensare che sarebbe stato meglio se il suo amico Gesù l’avesse lasciato marcire nel sepolcro. Poi si pentiva e diceva: guarda di che pensieri ingrati sono capace.


 Mancavano sei giorni alla Pasqua. Proprio quella sera il Maestro era atteso a Betania, con il gruppo dei discepoli più stretti. Le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, avevano tirato fuori gli otri col vino migliore. Gesù non tornava a casa loro dal giorno del grande prodigio. Un evento che ancora appariva irreale alle due giovani donne, se non fosse che con i loro occhi avevano visto il fratello esalare l’ultimo respiro e poi con il loro naso avevano sentito l’odore della morte spargersi dalla tomba.

Gli ospiti arrivarono che era buio. Appena entrato in casa Gesù abbracciò il suo amico. Erano coetanei, Lazzaro l’aveva sentito predicare a Cafarnao, era stato conquistato dalla sua umanità, così profonda, così misteriosa. Le sorelle gli avevano raccontato del pianto di Gesù alla notizia della sua morte. Era felice di essere così voluto bene, anche se un po’ se ne vergognava, se ne sentiva indegno.

La cena doveva essere un momento di festa e ringraziamento. Lazzaro però aveva avvertito subito qualcosa di strano, un sottofondo di mestizia e nervosismo nei discepoli di Gesù.  Verso la fine della cena Maria si inginocchiò davanti al Maestro, aprì un vasetto di nardo e iniziò a cospargere i suoi piedi con l’unguento profumato. Il cassiere del gruppo, Giuda, perse le staffe e iniziò a inveire contro la sorella di Lazzaro: i soldi spesi per il nardo - protestò - sarebbero stati meglio impiegati per assistere i poveri. Poteva aver ragione, la somma versata per l’acquisto di trecento grammi di nardo equivaleva al salario mensile di un operaio. Ma Gesù mise subito a tacere Giuda, sapeva che quel suo discepolo non era sincero, rubava soldi dalla cassa comune e per denaro l’avrebbe potuto tradire. “Lasciala fare - disse - perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura”. L’accenno al giorno della sepoltura lasciò tutti in silenzio. Nei volti corrugati dei discepoli si leggeva il presentimento di un dramma incombente. Nessuno osò chiedere spiegazioni al Maestro. Lazzaro rimase con il boccone sospeso davanti alla bocca. Si volse verso Giovanni, che sapeva intimo di Gesù. Il discepolo più giovane del gruppo posò il calice e fece cenno di volergli parlare, in disparte. Dopo qualche minuto si alzarono in piedi e si spostarono in cucina. Lazzaro sperava in parole rassicuranti, ma non fu così.  “Mi dispiace darti questa brutta notizia, Lazzaro, ma non vogliono far fuori solo Gesù, vogliono uccidere anche te…”. Lazzaro trasalì. “Devi lasciare la Palestina al più presto” concluse Giovanni. Lazzaro sapeva che Giovanni aveva una buona fonte tra i capi religiosi della Giudea. Doveva credergli. “Ma perché…?” riuscì appena a balbettare. “Sei diventato la prova vivente che Gesù è il figlio di Dio”, gli rispose Giovanni “nessun uomo ha il potere di far risorgere un altro uomo”. Quando tornarono nella sala, Lazzaro aveva il volto pallido. Gesù gli aveva ridato la vita, ora a causa di Gesù rischiava di tornare nel sepolcro.  

La notizia della presenza del Maestro a Betania si stava diffondendo nel villaggio. Marta avvisò gli ospiti: “Presto si radunerà una gran folla” disse. Gesù invitò i discepoli a prepararsi ad uscire. “Ho paura” gli disse Lazzaro quando venne il momento dei saluti. Il Maestro rispose con uno sguardo pieno di tenerezza e un abbraccio prolungato. Potrebbe essere il nostro ultimo abbraccio, pensò Lazzaro.

                             

   Non era mai stato a Cesarea. Le strade della nuova magnificente città, a cui quell’adulatore di Erode il Grande aveva dato il nome dell’imperatore romano, brulicavano di soldati, commercianti e stranieri in cerca di divertimento. Durante il tragitto verso il porto, Lazzaro s’era imbattuto nella calca degli spettatori in uscita dal grande ippodromo costruito sulla riva del mare; urtò un tizio che malediceva il fantino su cui aveva scommesso.

Lazzaro non era lì per divertirsi. Aveva appuntamento con un uomo di nome Barnaba, davanti al tempio di Augusto, di fronte al porto. Un commerciante che conosceva Marta ed era disposto a farlo salire su una nave in partenza per Cipro. Dopo la cena con Gesù, Lazzaro aveva messo a parte le sorelle del pericolo che correva restando in Palestina. Maria s’era messa a piangere, “gente cattiva”, ripeteva tra i singhiozzi. Le sue mani profumavano ancora di nardo. Anche Marta era turbata ma riuscì a restare più fredda e pensò subito una soluzione. Cipro era la destinazione migliore, lì gli editti religiosi dei sommi sacerdoti di Gerusalemme non avevano efficacia. L’isola poi non era distante dalle coste della Palestina, col mare buono la traversata si faceva in giornata. Almeno inizialmente le sorelle sarebbero rimaste a Betania, a gestire la piccola azienda di famiglia, assicurando la cura dell’uliveto e la produzione dell’olio. Marta aveva organizzato tutto; la partenza, il giorno dopo la Pasqua. Il commerciante che lo aspettava al porto era un giudeo di famiglia levitica, da tempo emigrato a Cipro. Faceva buoni affari esportando dall’isola il rame e importando dalla Palestina l’olio. Da poche settimane anche lui frequentava il gruppo dei discepoli di Gesù. S’era offerto di dargli ospitalità a Kition, il porto principale di Cipro.

Non fu difficile riconoscere Barnaba. “Ha la barba nera e indosserà una veste color porpora”, gli aveva detto sua sorella. I due si sorrisero, guardandosi negli occhi. “Coraggio” disse Barnaba. Sapeva tutto di lui ed era contento di aiutarlo. Si incamminarono verso l’imbarcazione. Barnaba era di casa, a Cesarea. Ogni tanto un passante lo salutava. Si fermarono a mangiare qualcosa in una taverna, vicino alla banchina dove era ormeggiata la nave. Barnaba non gli fece nessuna delle domande che i suoi disturbatori di solito gli facevano. Apprezzò la discrezione. Gli raccontò, invece, del suo incontro con Gesù. “Non capisco tutti i suoi discorsi - disse - ma quell’uomo parla al mio cuore, come nessun altro”. Mentre stavano per salire a bordo, in un trambusto di voci, cigolio di paranchi e sibilo di vele, un viaggiatore appena arrivato da Gerusalemme riconobbe Barnaba. “Il tuo Gesù, hai saputo? lo hanno arrestato ieri sera”. Lazzaro sentì il suo stomaco chiudersi. Barnaba lo spinse a salire sulla nave. Presero posto nella stiva, tra le anfore colme di olio e di vino. Rimasero in silenzio tutto il viaggio.

                

Erani trascorsi dodici mesi dal suo arrivo a Cipro, gli sembravano un’eternità. Dalla finestra della stanza, nel piano alto della casa di Barnaba, Lazzaro scrutava il mare. Un’imbarcazione stava attraccando al porto. Le uniche notizie da Gerusalemme arrivavano con le navi, ma scarne e non sempre affidabili. Gesù era stato ucciso. Su questo le testimonianze concordavano... Una fine terribile, inchiodato a una croce, insieme a due malfattori, dopo essere stato torturato e deriso dalla gente. I suoi discepoli, in preda al panico, s’erano rintanati chissà dove ma poi avevano preso coraggio ed ora asserivano con certezza che il Maestro fosse risorto. Le autorità smentivano tali voci trattandole come dicerie fantasiose. Lazzaro era diviso tra la disperazione per la morte del suo amico e quel filo di speranza, aggrappato alle “dicerie” dei discepoli. Crederò, si diceva, quando lo vedrò vivo, con i miei occhi. Era perso in questi pensieri quando sentì la voce di Barnaba che lo chiamava da sotto le scale. “Lazzaro!”. Finalmente era tornato. Mancava da tre settimane, un lungo viaggio d’affari fra Damasco e Gerusalemme. S’incontrarono lungo le scale. Barnaba aveva una luce diversa negli occhi, era su di giri. “Vieni, quante cose da raccontare! Devo presentarti un amico”. Scesero insieme le scale. L’amico li aspettava in una sala piena di tappeti, stava mangiando dei datteri. Basso di statura, calvo, la barba rossiccia. Appena lo vide abbracciò Lazzaro con slancio d’affetto, come se si conoscessero da sempre. “Ho sentito tanto parlare di te” gli disse. Si sedettero a terra, sui cuscini. Lazzaro impaziente, attendeva i loro racconti. Voleva notizie delle sorelle, ma soprattutto voleva sapere di Gesù.

Né Barnaba né Paolo l’avevano visto risorto. Ma erano certi che Gesù fosse vivo. Solo “la potenza del suo Spirito” dicevano, poteva aver provocato gli eventi di cui erano stati testimoni nelle ultime settimane. I due si conoscevano da tempo, per un certo periodo le loro strade s’erano divise ma ora erano più amici di prima. L’uomo con la barba rossiccia cominciò a raccontare la sua storia. Era nato a Tarso, in Anatolia, ma il padre l’aveva mandato a studiare presso i più importanti maestri della Torah, a Gerusalemme. Ebreo zelante, aveva dato la caccia ai discepoli di Gesù, arrestandone parecchi. Lazzaro ascoltava sbalordito le sue parole. Un giorno Paolo era diretto a Damasco, una soffiata gli aveva rivelato dove si riunivano, in segreto, alcuni seguaci del Nazareno. Lungo la strada era accaduto qualcosa di straordinario, inatteso: sentì una voce che lo chiamava, “Paolo perché mi perseguiti?”. Perse l’equilibrio, cadde da cavallo e finì a terra. No, non era suggestione, “il Signore mi aveva aperto il cuore e la mente”. I giorni passati con Anania, a Damasco, furono i giorni più belli della sua vita. Quel vecchio lo accolse nella sua casa come un figlio. Curò le sue ferite, gli parlò con dolcezza di Gesù e del suo perdono. Gli altri cristiani di Damasco non si fidavano di lui. “Solo Anania…”. Paolo dovette interrompere il suo racconto, preso dall’emozione. Fu Barnaba a continuare. Disse che neanche gli apostoli si fidavano di Paolo. Allora Barnaba prese l’iniziativa di andare da Pietro e persuase il capo della comunità a ricevere il convertito. Andò bene. Ora Paolo e Barnaba sentivano il desiderio di annunciare la liberazione di Cristo a tutti gli uomini, non solo agli ebrei. Avrebbero cominciato da Cipro, dove il governatore romano, Sergio Paolo, non sembrava ostile.

La passione con cui i due amici raccontavano i loro nuovi progetti conquistò Lazzaro. Non aveva più dubbi: solo l’azione potente di un Dio vivo aveva potuto trasformare così radicalmente l’esistenza di Paolo e di Barnaba. In qualche modo Gesù era risorto in quella storia, aveva i loro umanissimi volti. Separarsi da loro, sarebbe stato come separarsi dal Maestro.


Presto Lazzaro avrebbe riabbracciato anche le sorelle. “Stanno bene” gli aveva riferito Barnaba “e vogliono trasferirsi a Cipro”. Marta aveva già organizzato tutto. Ma la notizia più emozionante arrivava dall’altra sorella, Maria. Era stata a trovare il discepolo Giovanni e lì, nella sua abitazione, aveva conosciuto la mamma di Gesù. “Le ha strappato la promessa che verrà a trovarci a Cipro” riferì Barnaba. Lazzaro sorrise, non dubitava che Maria sarebbe riuscita nell’impresa. Si sporse dalla finestra e guardò il mare, in direzione delle coste della Palestina. Il sole stava tramontando, una brezza gentile gli alitò in faccia l’odore del sale. Dopo lunghi giorni di smarrimento e solitudine si sentiva rinascere, “come passare dalla morte alla vita” si sorprese a pensare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

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