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  • Immagine del redattoreluciobrunelli

La leggenda dell'anarchico più buono al mondo


C'era più cristianesimo in un anticlericale dell'ottocento che in un devoto dei nostri giorni. Questo pensiero provocatorio di Charles Peguy mi è venuto in mente guardando il documentario "L'uomo più buono del mondo" di Angelo Figorilli e Francesco Paolucci. Racconta la storia dimenticata di Carlo Tresca, anarchico abruzzese che negli Stati Uniti, nella prima metà del Novecento, lottò generosamente (senza mai fare ricorso alla violenza) per i diritti dei lavoratori e fu assassinato a New York nel 1943.

Ne ho scritto su L'Osservatore romano, questo è il testo dell'articolo.



Lo chiamarono lo “sciopero degli italiani”, durò cinque lunghi mesi e coinvolse migliaia di operai e operaie dell’industria americana della seta. Era il 1913 e quel che accadde a Paterson, cittadina a pochi chilometri da New York, ebbe risonanza in tutti gli Stati Uniti. Il principale organizzatore della protesta – forse il più massiccio sciopero della storia americana - era un anarchico abruzzese, Carlo Tresca. Raccontano i testimoni che, quando teneva i suoi comizi affacciato al balcone della casa di una coppia di italiani, davanti alla folla dei lavoratori che avevano incrociato le braccia, “la sua grande voce era come un organo che suona in chiesa”. Tanto le sue parole scaldavano i cuori e spingevano all’azione. Giornalista e drammaturgo, oltre che sindacalista, per guadagnare alla causa degli scioperanti l’opinione pubblica della Grande Mela, Tresca ebbe l’idea di portare i lavoratori di Paterson al Madison Square Garden facendo della loro lotta una rappresentazione teatrale: mille operai sul palco, uno spettacolo così non s’era mai visto nell’arena più grande di New York.

Trent’anni dopo, era l’11 gennaio 1943, mentre camminava nella Fifth Avenue un sicario gli sparò alle spalle. Le foto d’epoca in bianco e nero mostrano il suo corpo senza vita, in giacca e cravatta, riverso sul marciapiede. Dicono che il mandante fu un boss della mafia italiana, Vito Genovese, peraltro mai incriminato; altri sono convinti invece che l’ordine di ucciderlo partì da Mussolini in persona, altri ancora puntano il dito contro Mosca e i comunisti americani. Ognuno di loro aveva buoni motivi per farlo fuori perché Tresca aveva denunciato sul suo giornale (“Il Martello”) sia gli affari loschi della mafia sia il tentativo del fascismo di controllare le organizzazioni della comunità italo-americana. E non era stato meno tenero con la deriva autoritaria del comunismo sovietico, raccontando la vergogna delle purghe staliniane.

Il suo funerale a New York fu un evento memorabile. Un corteo di ottanta automobili cariche di fiori e migliaia di persone seguivano il feretro. Operai, tessitrici, intellettuali, artisti, scrittori piansero quello che fu definito “l’uomo più buono del mondo”. Poi su di lui scese il silenzio. Rimozione totale. È merito di un giornalista appassionato come Angelo Figorilli, già inviato della Rai, aver riacceso la luce sulla storia di Carlo Tresca, dopo un oblio durato 80 anni. Figorilli e l’ottimo film maker Francesco Paolucci hanno realizzato un documentario che ripercorre la straordinaria vicenda umana di questo nostro connazionale. Per scelta degli autori viene proiettato gratuitamente, ma solo in presenza: è sufficiente che un gruppo di persone mostri interesse e ne faccia richiesta. È già stato a New York e a Roma, dove il 22 maggio la visione del documentario aprirà un convegno della Fondazione Giacomo Matteotti nel centenario della morte del deputato socialista.



Nato a Sulmona, di famiglia benestante, Carlo Tresca sentì come sua vocazione l’impegno contro l’ingiustizia, in difesa degli umili e degli oppressi. Iniziò l’attività sindacale con i ferrovieri della sua città. Poi la scelta di trasferirsi negli Stati Uniti, dove l’Fbi lo considerò un pericoloso sovversivo. Nel documentario il principale testimone-narratore è lo scrittore Maurizio Maggiani: un racconto documentato e coinvolgente.

Tresca era un anarchico, anticlericale, fu attivo nei comitati di difesa di Sacco e Vanzetti. Ma non predicava la violenza ed aveva il dono di una empatia che lo rendeva capace di dialogo con tutti. Al di là delle sue criticabili idee politiche il ritratto che ne esce è quello di un uomo dalla grande umanità. Uno storico pacifista italiano, Mario Pizzola, interpellato da Figorilli, dice di Tresca: “non è stato un cristiano credente ma se pensiamo all’essenza del messaggio evangelico, alla non violenza, alla fratellanza… ecco, sono valori che lui portava avanti”. E chissà, forse aveva ragione il cattolico irregolare Charles Peguy quando nella sua opera L’Argent, pubblicata nel 1913, proprio l’anno del grande sciopero dei setaioli di Paterson, sosteneva che gli anticlericali del secolo scorso avevano comunque respirato e assorbito più cristianesimo dei fedeli del suo tempo, poiché il popolo naturaliter cristiano era stato ormai distrutto dall’avvento della civiltà borghese. Così che “un libero pensatore di allora – scriveva Peguy - era più cristiano di un devoto dei nostri giorni”.


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