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  • Immagine del redattoreluciobrunelli

Quante sorprese dietro quella grata

Aggiornamento: 16 feb

È stato uno dei capi della Resistenza a Roma, inviato de L'Unità e parlamentare del vecchio Pci. Pochi sanno che Antonello Trombadori, insieme allo storico marxista Rosario Villari, era uno dei frequentatori piu affezionati e discreti del monastero dei Santi Quattro Coronati. Alle suore di clausura ha dedicato una serie di sonetti in dialetto romanesco. Uno di essi racconta la sorprendente visita che tre esponenti del partito fecero alle agostiniane dopo il funerale di Berlinguer.



Sono stato, ieri, al monastero dei Santi Quattro Coronati. La figlia di un caro collega e amico, una donna di 30 anni avviata a una interessante carriera nel mondo del teatro e della fiction televisiva, ha tolto il fiato ai genitori decidendo di farsi suora, e suora di clausura. Suo padre mi ha invitato al rito di ingresso. La ragazza era raggiante, la chiesa stracolma dei suoi amici. Emozionante il momento in cui suor Fulvia, la madre superiora, ha abbracciato la ragazza accogliendola nella clausura delle agostiniane.



Il monastero dei Santi Quattro Coronati è uno dei luoghi più suggestivi di Roma. Sorge nel cuore della città, tra il Colosseo e la basilica di san Giovanni, eppure il caos e i rumori del traffico magicamente s’attutiscono fino a scomparire del tutto man mano che ci si addentra tra le sue solide mura. Ha una storia antichissima, risale al quarto secolo dopo Cristo: il nome è un omaggio a quattro soldati cristiani, uccisi sotto Diocleziano perché non rinnegarono la loro fede.

Uno dice clausura e pensa a un mondo a parte, senza alcun rapporto e senza alcuna influenza sugli eventi del mondo reale. La storia di questo monastero smentisce tale pensiero. Durante l'occupazione nazista di Roma le suore, accogliendo l'invito di Pio XII, salvarono la vita a decine di ebrei nascondendoli per oltre un anno all'interno della clausura. Di quei giorni, di paura e di coraggio, resta traccia in un diario che fu pubblicato da Pina Baglioni sulla rivista 30Giorni.

Ma c'è un'altra incredibile storia, sconosciuta ai più, che merita di essere raccontata. Narra del rapporto di profonda amicizia che ha legato a questo monastero due intellettuali, parlamentari del Partito comunista italiano: Antonello Trombadori e lo storico Rosario Villari, entrambi scomparsi. Il legame di Villari con le suore di clausura è custodito quasi interamente nella memoria orale delle agostiniane. Frequentava regolarmente il monastero, ma sempre con grande discrezione, per non alimentare inutili chiacchiericci e magari mettere nei guai le religiose. Ricordo la sua familiarità con le suore, che ebbi modo di constatare durante una mia visita al monastero. Di Antonello Trombadori è possibile raccontare qualcosa di più.

Nato in una famiglia d'artisti di origine siciliana, amico di Renato Guttuso e a Roma compagno di studi di Giulio Andreotti, Trombadori fu uno dei leader della Resistenza nella capitale. Patì anche il carcere e scampò per un soffio all'eccidio delle Fosse ardeatine. Proprio in quegli anni terribili entra in contatto con suor Emilia Umeblo, veneziana di nascita, romana di adozione, per più di mezzo secolo madre guardiana del Monastero. Prima di entrare nella clausura la religiosa aveva frequentato lo studio del pittore veneto Ettore Tito, e sembrava anch'essa destinata a una vita d'arte e mondanità.



Ha raccontato a 30Giorni Rita Mancini, che fu madre superiora di suor Emilia: «Ai tempi dell’occupazione tedesca lei era la suora “esterna”, cioè la persona autorizzata, per motivi pratici, a uscire dalla clausura. Mi parlò a lungo di quei mesi e degli aspetti logistico-organizzativi per facilitare l’ospitalità ai rifugiati ebrei e a molti altri antifascisti. Tra l’altro suor Emilia era in contatto costante con Antonello Trombadori, dirigente del Partito comunista e capo dei Gruppi armati partigiani di Roma, e con tanti altri oppositori al nazifascismo. Ho pregato suor Emilia più volte di scrivere tutto quello che mi andava raccontando. Purtroppo non l’ha mai voluto fare. Non c’è più e i suoi ricordi se li è portati via con sé».

Fortunatamente fu lo stesso Trombadori a lasciare una traccia scritta del suo rapporto con la comunità delle agostiniane, rapporto che andò avanti fino alla sua morte, nel 1993. La memoria è affidata a un libretto di sonetti in dialetto romanesco "Li Santi Quattro che ssò Nnove", stampato in proprio nel Natale del 1990 in 500 esemplari.



Una rarissima copia del libretto mi fu donata da suor Fulvia nel 2007, in occasione di un servizio che realizzai per Tg2Storie sul salvataggio degli ebrei nei conventi romani. Sono sette componimenti, accompagnati da brevi ma preziose note storiche. L'ironia e lo stupore sono miscelati in modo meraviglioso, come nel meglio della tradizione romana. Il sonetto più sorprendente racconta della visita che Antonello Trombadori, insieme con lo storico Rosario Villari e un alto esponente del Pci, fecero al monastero dopo il funerale di Enrico Berlinguer, il 13 giugno 1984. Non si trattò di una visita politica, ovviamente, e non ebbe volutamente alcun rilievo pubblico. Si trattò di una visita di consolazione. Per gli iscritti al partito la morte improvvisa di Berlinguer fu un terremoto emotivo, mai un funerale fu così partecipato nella storia italiana, oltre un milione e mezzo di persone: la lunga scia di militanti e simpatizzanti da piazza san Giovanni in Laterano tracimava in via Labicana, correva per via dei Fori imperiali fino a sfociare in piazza Venezia.



Antonello Trombadori racconta in versi la loro visita alle suore di clausura:


A ritornà da quer mortorio amaro

Sonassimo e ssentissimo: "Chi è?"


Dicessimo: "Tre amici pellegrini...",

Poi da la grata co'n zoriso chiaro

Na monaca ce fece du' o ttre inchini.


In una nota a piè di pagina, l'autore aggiunge qualche dettaglio: "Tornando a piedi da Piazza san Giovanni, dopo la manifestazione funebre per Enrico Berlinguer, l'allora presidente dei senatori comunisti, Edoardo Perna, lo storico Rosario Villari e io, decidemmo di fare una visita ai SS. Quattro Coronati. Vi fummo accolti nel semplice, elegante parlatorio e di qua dalla grata ascoltammo parole di alta spiritualità sul defunto e sulla sua umana esistenza: Non importa se fosse credente, la sua purezza era tramite con Dio".

Di fronte alla volgarità della comunicazione politica odierna, commuove la delicatezza e la rara umanità di questo incontro, di cui nessun organo di informazione ebbe mai notizia. Figuriamoci se fosse avvenuto ai nostri giorni, e quali commenti avrebbero insudiciato la rete, se solo qualcuno avesse saputo.

Siamo invece nel 1984, la mappa geopolitica dell'Europa non è stata ancora riscritta, tutti i muri sono in piedi. Tre esponenti di un partito figlio del pensiero ateo di Marx e di Gramsci, con gli occhi ancora lucidi dopo quel "mortorio amaro", bussano alla porta di un convento di clausura, solo per trovare un po' di conforto e serenità: "tre amici pellegrini...".

Che meraviglia quel "sorriso chiaro" che appare dietro la grata, e quei "due o tre inchini" con i quali una monaca, senza bisogno di ulteriori parole, li accoglie in quell'oasi di pace e silenzio.

Un altro sonetto è dedicato a suor Emilia in occasione della morte della religiosa.



Si intitola semplicemente "Una suora", è datato 16 marzo 1986 e lo riproduco per intero. Trombadori confida di aver pianto "peddavero", di nascosto, durante la cerimonia funebre nel monastero, ripensando a quella suora che conosceva ormai da cinquant'anni e tante volte lo aveva incoraggiato, col sorriso sulle labbra. Il finale è commovente.


Co quanta gentilezza hanno cantato

Jjèri pe Ssuor Emilia ar monistero,

Lei riposava cor mantello nero

Ne la bbara de bbianco damascato.


Io, ripenzanno ar tempo ch'è ppassato,

Piaggnevo de niscosto peddavero

E gguardavo bbrillante sur zagrato

La fiamma che ttremava incim' ar cero.


Na fiammella a zzampillo de funtana

Piena de luce chiara aperta a rraggio

Come la crausura agustiggnana.


In quel foco folletto trasparente

Come un zoffio ho ssentito: "Su, coraggio!"

E ho vvisto Suor Emilia sorridente



Il titolo del libretto (tradotto in italiano: "I santi quattro che sono nove") è ripreso da uno dei sonetti. Proprio suor Emilia aveva spiegato a Trombadori che ai quattro martiri che danno il nome al monastero dovrebbero essere aggiunti altri "cinque poveri innocenti", cinque scalpellini martirizzati in Pannonia per essersi rifiutati di scolpire divinità pagane. Anche essi venerati dai fondatori della basilica e del monastero.


Fra li mejjo conventi acconzagrati

Er chiostro co li fiori ppiù sprennènti

Stà ssù a li Santi Quattro Coronati

Che pprima erano quattro miscredenti.


Si ssòni du' o ttre squilli dilicati

Viè Suor Emilia a ffà li comprimenti

E tte 'impara li tribboli passati

Da n'antri cinque poveri innocenti.



Il sonetto forse più attuale si chiama "Er silenzio". Invettive in versi contro l'assordante bruttezza di una musica troppo rumorosa e l'invocazione di un po' di quiete, per le orecchie e per l'anima: "Un pò di pace, un pò di pace, zitti!".

Oggi ben più lungo potrebbe essere l'elenco degli "strillacci" che tediano il vivere quotidiano. Il finale della poesia, pertanto, suona oggi ancora più saggio e drammatico di quando questi versi vennero composti.


Nun basta a Roma er puzzo de bbenzina?

Nun basta nun poté fà un passo a ppiedi?

Ce vò ppuro st'aggionta de manfrina?


Nun ce sarà fra ppoco antra difesa -

Dà retta a mme, ce credi o nun ce credi -

Ch'er bujjo silenzioso d'una chiesa.




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