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Il segreto di Filippo

Immagine del redattore: Lucio BrunelliLucio Brunelli

"Nessun santo ha riso e fatto ridere al pari di lui". Così lo scrittore Giovanni Papini sul santo più amato dai romani, Filippo Neri. Un nuovo libro di Pina Baglioni ci svela il cuore della sua personalità cristiana e il segreto del fascino del suo Oratorio .

Ho scritto una recensione del libro per L'Osservatore romano. Ecco il testo



Immaginiamoci la scena, siamo nella Roma del Cinquecento: un frate a piedi scalzi e un prete, futuri santi entrambi, s’incontrano in un vicolo puzzolente e, davanti ad una folla sorpresa, subito attaccano a scambiarsi improperi: “Ti possa vedere squartato!” comincia il prete, “Ti sia mozzo il capo”, la replica del frate... un crescendo fantasioso delle peggiori malauguranti espressioni che si conclude, colpo di scena, con una risata e un abbraccio: “possa tu subire tutto questo per amore di Dio!”.  La gente dei vicoli, mescolanza dell’umanità più varia, perdigiorno figli di aristocratici e delinquentelli del rione, si accalca attorno, divertita e incuriosita da quell’amicizia gioiosa fra i due uomini di Dio. Il frate è Felice da Cantalice, il prete è san Filippo Neri.  «Il santo spiritoso» lo definisce Goethe, che gli dedica una biografia. Conferma Giovanni Papini: «Nessun santo ha riso e fatto ridere al pari di lui». Volendo si potrebbe scrivere un libro su Filippo raccontando solo dei suoi scherzi, le bizzarre mascherate, le battute fulminanti. L’ilarità tagliente toscana addolcita dall’umorismo più bonario dei romani. Ma, volendo, si potrebbe scrivere anche un libro solo sul Filippo mistico che di notte va solitario in preghiera nelle catacombe dell’Appia antica, legge avidamente la “Vita di sant’Antonio abate nel deserto” e ha un cuore misteriosamente dilatato a dismisura, fenomeno che i medici del tempo non riescono a spiegare… E ancora si potrebbe raccontare, del santo fiorentino, solo l’educatore di giovani sbandati, al cui metodo nuovo, fatto di attrazione più che di repressione, si ispirerà tre secoli dopo don Giovanni Bosco e la sua carità sociale.


Insomma, San Filippo è tutto questo, e molto altro. Ogni distinto aspetto della sua personalità - il “buffone di Dio”, il mistico, l’educatore - è inseparabile dall’altro. E tutti i tratti ruotano attorno ad un unico baricentro esistenziale: la grazia di un rapporto familiare con Cristo («Chi cerca altro che Cristo non sa quel che cerca”) e il desiderio di comunicare la bellezza della vita cristiana ad una gioventù ammaliata dai piaceri di un paganesimo di ritorno. È questa la bussola narrativa da cui si lascia guidare Pina Baglioni, giornalista e scrittrice, nel suo bel libro (Filippo Neri, il genio dell’amicizia cristiana, edizioni Ares, 14euro). Un volume agile, dal carattere divulgativo, piacevole e insieme serio, rigoroso nelle fonti. Il grande pubblico forse ha conosciuto la figura di “Pippo bono” e lo ha preso in simpatia grazie al film di Luigi Magni (“State buoni se potete”) o alla fiction televisiva interpretata da un mitico Gigi Proietti (“Preferisco il Paradiso”). La Baglioni completa, precisa i fatti, riporta tutto alla sua origine più profonda.

Filippo ha lo spirito del missionario. Quando le lettere inviate da Francesco Saverio dall’Oriente cominciano a circolare in Europa, egli sente l’impulso di raggiungerlo. Chiede consiglio al pio abate del monastero delle Tre Fontane e la sua risposta è perentoria: «Le tue Indie sono a Roma». Il modo con cui Filippo vive la “missione” nella capitale della cristianità è l’Oratorio. L’autrice ci fa entrare in questi luoghi, ci affacciamo con lei sull’uscio e ci sembra di assistere a quelle riunioni, che prendono spunto da una pagina del Vangelo o di un libro. Il tempo scorre veloce, con Filippo la noia è bandita. Scrive Louis Bouyer, il più grande fra i biografi del santo: «Senza ch’egli abbia bisogno di incitare - se non attraverso una facezia il cui senso a tutta prima può sfuggire - non è possibile vivere qualche tempo con lui senza divenire diversi da quelli che si era prima».

Oggi il termine Oratorio fa pensare a uno spazio ricreativo per bambini. In realtà era un punto di incontro, di preghiera, di “amicizia cristiana” e di irradiazione in tutta la città. Ma tutto aveva inizio in quelle stanzette nella chiesa di san Girolamo della carità, dalle quali Filippo non avrebbe voluto mai allontanarsi, nemmeno per trasferirsi nella chiesa nuova della Vallicella.


Spirito libero, rifiutò più volte la berretta cardinalizia e con poco entusiasmo accettò la trasformazione dell’Oratorio in una nuova congregazione religiosa.

Uno dei capitoli più suggestivi del libro è dedicato a “I santi che fecero la Riforma”. Erano anni amari per la Chiesa, tra papi mondani e le lacerazioni dello scisma luterano. Ma in quegli stessi anni la fantasia dello Spirito Santo concentrò nella stessa città, quasi gomito a gomito, un manipolo impressionante di santi. Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Camillo de Lellis, Giovanni di Dio, Giuseppe Calasanzio, Vincenzo de’ Paoli… San Filippo fu amico e collaborò con molti di loro.


Indirizzò alla Compagnia di Gesù diversi giovani dell’Oratorio (nella immagine san Filippo Neri insieme a sant'Ignazio) proprio lui suggerì a san Camillo di dedicarsi all’assistenza degli ammalati incurabili. Non persero tempo a maledire i mali presenti, a denunciare gli errori di scismatici ed eretici. Furono semplicemente testimoni, persuasivi, della fede e della carità di Cristo; diventando così, senza nemmeno averlo progettato, il cuore della Riforma cattolica.

 

 

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