Il cardinale Claudio Hummes, scomparso il 4 luglio, è stato un grande protagonista della Chiesa brasiliana e grande amico di papa Francesco. Fu anche "vicino di banco" di Bergoglio durante l'ultimo conclave. All'inizio del 2014 lo incontrai nella sua abitazione di San Paolo, insieme all'amico e collega Alver Metalli. L'intervista rifluì nel documentario "Il mio nome è Francesco" trasmesso da Tg2Dossier nel marzo dello stesso anno (https://youtu.be/MMGclRGEFiE?si=TVnqoE6K3On85frI)
Ho ritrovato tra i miei appunti la trascrizione che di quella lunga conversazione fece Laura Sacripanti, mitica montatrice Rai. Ecco le parole di Hummes

"Ero seduto accanto a lui nella Cappella Sistina, durante le votazioni. Come già accaduto nel precedente conclave del 2005, quello che elesse Ratzinger, perché l’ordine dei cardinali nella processione di ingresso nella Sistina e quindi anche l’assegnazione dei posti è stabilita dal cerimoniale in base a regole precise, che tengono conto dell’anzianità e del ‘grado’ dei porporati. Ma noi eravamo stati “vicini di banco” anche nel Sinodo mondiale dei vescovi e nella grande assemblea dei vescovi latinoamericani che si tenne nel santuario di Aparecida, in Brasile. Sempre vicini. Ci conoscevamo bene.
A poco a poco, quel 13 marzo, i voti cominciarono a convergere su Bergoglio. Lui era molto silenzioso, io commentavo al suo orecchio la possibilità di diventare Papa. Quando le cose si fecero più ‘pericolose’ per lui, lo confortavo e scambiavo qualche piccola riflessione. Quando il numero dei voti superò il quorum necessario per l’elezione ci fu un grande applauso. L’ho abbracciato e gli ho detto: ‘ricordati dei poveri’. Non avevo preparato nulla, io ero la bocca ma a parlare è stato lo Spirito Santo.
Lui confida spesso che proprio in quel momento gli venne forte nel cuore il pensiero di san Francesco: l’uomo della pace, dei poveri, del creato. E mi ha detto: questo è il nome, questo è il nome… È capitato tutto in pochi minuti, lui è stato chiamato per dire se accettava l’elezione e ha comunicato che avrebbe preso il nome di Francesco. È stata una sorpresa grande in tutta la sala, chi avrebbe immaginato che si sarebbe chiamato così, perché la figura di Francesco è molto impegnativa, ci vuole coraggio. Lui l’ha fatto con cuore leggero, si è identificato con il santo di Assisi e ha visto che questo gli dava subito un programma di Chiesa.
San Francesco nella chiesetta di san Damiano sentì il crocefisso che gli diceva: vai a riparare la mia Chiesa che è in rovina. Lui ha avuto questo coraggio. Dopo l’elezione era molto sereno, tutti erano stupiti della sua serenità, della sua spontaneità. Ha fatto subito gesti significativi, non ha voluto il mantello e la croce dorata che i cerimonieri gli porgevano. E quello era già Francesco che parlava in lui. Anche le scarpe preparate per il nuovo Papa, non le ha volute, ha tenuto le sue; la stola l’ha accettata ma solo per impartire la benedizione. È apparso cosi, povero, spogliato, davanti a noi. E noi tutti eravamo pieni di stupore.
Nella Sistina avevano predisposto un trono in cui si doveva sedere il papa eletto ma lui ha detto che no, non voleva sedersi, voleva restare in piedi… ed ha abbracciato tutti i cardinali con una semplicità… e tutti erano distesi.
Io dico sempre che in quel momento la cosa straordinaria era che i cardinali europei, del primo mondo, si stavano fidando di un latino-americano ed hanno affidato la conduzione della chiesa ad un latino-americano. E questo era inaspettato, perché noi siamo una chiesa giovane.
Per la guida della Chiesa universale la loro scelta da parecchi secoli cadeva sempre sugli europei, un europeo dava più sicurezza, ma come dice Francesco queste ‘sicurezze’ su cui noi ci appoggiamo, a volte danneggiano il dinamismo della chiesa. Per secoli si era fatto sempre cosi ma loro si sono fidati, lo Spirito santo ha lavorato sui cuori per fidarsi cosi. Fu tanta la sorpresa quando lui è apparso vestito da papa ma con grande semplicità nella tonaca bianca, rinunciando a tanti orpelli. I cardinali capivano che questa semplicità poteva cambiare la chiesa.
Nelle nostre riunioni, prima del conclave, il cardinale Bergoglio era intervenuto parlando con molto coraggio di una Chiesa che doveva respingere la mondanità spirituale e uscire verso le periferie. Quelli che già pensavano a lui come possibile papa furono rafforzati nel loro convincimento da queste parole, ma la sorpresa, nella Sistina, fu grande per tutti.

Dopo la sua vestizione si è cantato tutti insieme il Te Deum e subito dopo si è formata la processione che porta il nuovo papa al balcone centrale della basilica di san Pietro, per il primo saluto ai fedeli, che sono in attesa nella piazza dopo la fumata bianca. Quando la processione iniziò a muoversi lui mi ha chiamato e ha detto: voglio che tu sia con me in questo momento. E io sono andato. Avevo dimenticato il berretto rosso e lui me lo ha fatto notare: guarda che hai dimenticato il berretto. Sono tornato indietro e l’ho preso. Ridevamo. Tutto succedeva in un clima molto spontaneo, rilassato, sereno. Era qualcosa di straordinario. Lui si mostrava come lo stesso uomo di sempre, gentile. Ripete spesso che come Chiesa dobbiamo essere normali e lui era così.
Così disse a me e a Vallini, il cardinale Vicario per la diocesi di Roma, di seguirlo nella cappella Paolina per fare insieme una preghiera. E siamo andati alla cappella. Mentre ancora si formava la processione, prima di affacciarsi al balcone, lui si è messo a pregare.
Poi siamo usciti, era sera, piovigginava ma in quel momento la pioggia si fermò. Da lassù si vedeva bene tutta la gente che affollava la piazza e desiderava conoscere il nuovo Papa, si vedeva la folla, ma non si riusciva a distinguere i volti delle persone.
All’inizio è rimasto alcuni secondi senza dire nulla, perché sotto, sul sagrato, c’era una banda musicale che suonava a tutto volume.
Quando la musica è finita lui ha salutato la folla con un braccio, ha detto “Buonasera” e la piazza è esplosa. Era importante il primo incontro con i fedeli ma era sereno, aveva chiare le cose. Si è presentato come il vescovo di Roma, prima di tutto. Anche la presenza di Vallini, il Vicario, sottolineava questo fatto.
Lui ha parlato sempre come vescovo di Roma. In quel suo primo saluto alla folla non ha mai usato la parola papa. Anche quando ha chiesto una preghiera per Benedetto XVI, lo ha chiamato ‘il nostro vescovo emerito’, non papa emerito.
Apriva già grandi porte, tutti hanno capito che apriva porte. Un uomo semplice, equilibrato, che veniva lì a dire ‘buonasera, io sono il vostro vescovo di Roma, pregate per me’.
Nessuno si aspettava che chiedesse la benedizione del popolo, che si chinasse per ricevere la benedizione del popolo su di lui. Io ero molto contento per tutte queste cose che stavano succedendo.

Bisognava voltare pagina su tante storie difficili. La Chiesa tornava ad essere più universale, l’Europa avrebbe continuato ad avere un peso, naturalmente, ma ora è più chiaro che la Chiesa deve essere latinoamericana, africana, asiatica e non una chiesa europea portata all’Africa o negli altri continenti. Un programma immenso. Nella esortazione apostolica Evangelii gaudium ha sviluppato molte di queste cose. Parla di strutture che la Chiesa si è costruita attorno, muri così alti che la gente non riesce più ad entrare, dice che la Chiesa non deve assomigliare ad una dogana. La casa del Padre è aperta. A tutti. Lui dice queste cose non come una meditazione ma come un programma da realizzare. Ad esempio, dice che non possiamo iniziare a evangelizzare il mondo con la morale, la morale è un secondo passo, dobbiamo iniziare con l’annunciare Gesù Cristo, come una buona notizia. Come seguire Gesù, questa è la morale, ma questo ha senso per chi ha già conosciuto Gesù. La chiesa deve predicare di più la buona notizia di Gesù, di un Dio che è misericordioso.
Io vedo che il papa si prende tempo per pronunciarsi sui temi più controversi, come la questione dei sacramenti per i divorziati risposati. Perché sono question complesse e devono essere studiate bene, serenamente, non con persone radicali, siano essi rigoristi o lassisti. Si deve avere chiaramente davanti a sé Gesù Cristo, il Vangelo.
Però abbiamo alzato troppi muri, troppe porte chiuse… anche i sacramenti non sono per i perfetti ma per i peccatori, non sono un premio per una élite santa.
Sono cose che la Chiesa sempre diceva però a poco a poco è diventato più facile, più sicuro dire dei no, ti senti più sicuro di aver risolto i problemi morali della chiesa fissando dei no: chi lo può fare entra chi non lo può fare è fuori. Ma non può essere questo il modo: tutti sono chiamati, la casa del Padre è aperta. Bisogna aprire di più le porte. Ma bisogna che tutta la Chiesa lo decida insieme e lui vuole sentire anche il pensiero dei laici perché anche i laici hanno il sensus fidei, il senso della fede. Lui vuole sentire tutti e poi fare delle nuove proposte. La Chiesa cattolica è molto grande ed è così diversificata, bisogna che questa Chiesa cammini insieme e non si spacchi per delle decisioni prese senza sufficiente consenso"

La stupefacente semplicità, povertà, umanità di questo uomo che ci porta Dio.
In tanti oggi scrivono e si ergono a giudici del pontificato di Francesco. Lo fanno con supponenza, tante volte arrivando persino a redarguire il Papa per ciò che dice o per i gesti che compie. Ognuno vorrebbe un proprio Papa prêt à porter. Ciò che si legge con semplicità in questo bellissimo articolo di Lucio Brunelli non è solo la realtà dei fatti che furono, con quella profetica visione del cardinale Hummes e la scelta di un nome “pesante” per un Papa moderno, o il puntuale riassunto di un nuovo manifesto per la Chiesa voluto dal Papa scelto alla fine del Mondo per far fronte alle tante nuove sfide che ci travolgono. Ciò che si legge è soprattutto ciò che…
Le parole di Francesco sono sempre "facili". Grazie a Dio in lui abbiamo un riferimento di verità, tra tante voci sempre belligeranti e vendicative. Sono le parole del Vangelo, che richiamano alla realtà, alľunità, alla centralità delľuomo e delle relazioni. Che Dio lo preservi a lungo