Anna Laura, le Br e la famiglia Bachelet
- Lucio Brunelli

- 7 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 4 giorni fa
Giovedì 6 novembre è morta l'ex brigatista rossa Anna Laura Braghetti. Fu lei ad assassinare Vittorio Bachelet. "La punizione per me non è stata il carcere - scriveva - ma l'immagine di quell'uomo riverso a terra, che avevo ucciso. Sono condannata ad averla sempre davanti agli occhi". Una storia drammatica, salvata dall'incontro inatteso e non cercato con i familiari della sua vittima.
Questo l'articolo che ho scritto per L'Osservatore romano (7 novembre 2025)

Anna Laura Braghetti è stata una delle militanti più note ed efferate delle Brigate rosse. Nel 1978, quando aveva 25 anni ed era ancora incensurata, fu una dei carcerieri di Aldo Moro. Un giorno il prigioniero chiese dei libri, lei gli portò delle opere sul marxismo che avevano in casa; gentilmente Moro fece notare che quei libri li conosceva già e avrebbe preferito, possibilmente, una bibbia con le lettere di san Paolo.

L'anno seguente, datasi alla clandestinità, la giovane terrorista partecipò all'attacco contro la sede provinciale della Dc romana, a piazza Nicosia; insieme al brigatista Francesco Piccioni aprì il fuoco contro una volante della polizia accorsa sul posto uccidendo due inermi poliziotti. Nel 1980 sparò a Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, lasciandolo senza vita in un pianerottolo della facoltà di Scienze Politiche a “La Sapienza” di Roma. Sia Bachelet sia Moro insegnavano in quella facoltà: entrambi miei professori, li ricordo come persone miti, credenti veri, dediti con un alto senso del dovere al servizio del bene comune.
Arrestata nello stesso anno dell’omicidio Bachelet, la Braghetti non negoziò mai sconti di pena. Rifiutando di unirsi ai ‘dissociati’ o ai ‘pentiti’. Ma pentita lo fu davvero. Un pentimento graduale ed autentico, quindi lancinante, consapevole del terribile male compiuto. E compiuto - questo il paradosso piu drammatico di quella storia - in nome di un ideale di giustizia.

Nel 1998 la Braghetti pubblicò con la giornalista Paola Tavella il libro autobiografico “Il prigioniero” in cui raccontava della prigionia di Moro e dell’assassinio di Bachelet. Mettendosi a nudo scriveva: <<Dopo l'azione provai un senso di vuoto assoluto. Per uccidere qualcuno che non ti ha fatto niente, che non conosci, che non odi, devi mettere da parte l'umana pietà, in un angolo buio e chiuso, e non passare mai più di lì con il pensiero. Devi evitare sentimenti di qualunque tipo, perché sennò, con le altre emozioni, viene a galla l'orrore. Ormai lascio che mi succeda, che mi attraversi un'onda di dolore tremendo, la coscienza di avere ucciso un uomo con le mie mani. Lo rivedo dove l'ho lasciato, per terra. La mia punizione non è il carcere, ma quell'immagine. Sono condannata ad averla per sempre davanti agli occhi, e a non volerla scacciare>>.
L’incontro per lei più imprevisto e trasformante avvenne in carcere, con il fratello dell’uomo che aveva ucciso. Si chiamava Alfredo Bachelet, era un gesuita.

Fu lui che andò a cercarla. Ancora una volta non ci sono parole più vere, per raccontare questo incontro, di quelle usate da Anna Laura nel suo libro di ricordi: <<Ai funerali di Vittorio Bachelet la famiglia perdonò gli assassini, pregò per me. Adolfo Bachelet prese a girare per le carceri e a intrattenersi con i detenuti politici. Fu così che incontrò Francesca, e le chiese di me. Mi raccontava spesso dei figli e delle figlie dell'uomo che io ho assassinato, ma la domanda ‘Perché proprio mio fratello?’ non era un ingombro fra noi. Da lui ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile. Quando si ammalò trascorsi molto tempo con lui, e verso la fine mi disse: “Io muoio, ma non ti lascio sola, perché per te c'è sempre mio fratello Paolo” Don Paolo è il cappellano della città universitaria. Non sono andata ai funerali di Adolfo. Lo desideravo, ma in quella chiesa sarebbero potute esserci persone cui non posso imporre la mia presenza, per le quali io sono un insulto. Ho mandato una lettera senza firma per ringraziarlo>>.
Ad un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, qualche tempo dopo, la Braghetti incontrò il figlio di Bachelet, Giovanni. Si riconobbero e si salutarono. Giovanni le disse:<<bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato>>. Anna Laura commentò: <<Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”.
Forse sono ingenuo o forse è la vecchiaia ma ogni volta che leggo queste pagine mi commuovo nel profondo. E penso che solo un Dio, ed un Dio vivo, può fare miracoli cosi.






Caro Lucio,
grazie per le tue parole e per questa storia. Tuttavia credo che gli esseri umani, ogni uomo e ogni donna, possano compiere gesti così profondi, che arrivano direttamente all’essenza dell’umanità. Parlare di miracoli ci porta sul terreno dello straordinario, dell’eccezionale, facendo di questa storia, delle scelte precise di ognuno dei personaggi che l’hanno abitata, qualcosa di irripetibile, irraggiungibile da chiunque se non, per l’appunto, con l’intervento di un miracolo.
Differentemente da Manzoni credo che il coraggio appartenga a tutti noi, non solo a qualcuno. Per il semplice motivo che quella parola ha una radice che appartiene - è ciò che ci dà e ci tiene in vita - a tutti noi: il cuore.
Solo che quel coraggio tante…