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"Se venisse qualcuno..."

Aggiornamento: 11 gen


“Se venisse qualcuno, se venisse a svelarmi come si fa… ad amare il prossimo mio come me stesso…” (Marco Bellocchio)

Metti una sera, due registi e due scrittori attorno a un tavolo a parlare di Cristo. Può essere una cosa noiosa, cerebrale e persino snob. Oppure, e così è stato (non solo per me), un evento per la mente e per il cuore.



Lo spunto era la presentazione del libro di Antonio Spadaro Una trama divina. Gesù in controcampo (ed. Marsilio), una raccolta dei commenti al vangelo domenicale pubblicati ogni settimana su Il Fatto quotidiano. E già qui c'era qualcosa di sorprendente. Che ci fa un gesuita, direttore di Civiltà cattolica, sul giornale di Travaglio, foglio da combattimento dei cinque stelle? Domanda che Spadaro deve essersi posto e infatti la prima risposta all’invito del direttore era stata un bel no. Poi Travaglio ha insistito: “scusa ma tu la domenica non commenti il vangelo nella messa della tua parrocchia? Solo questo ti chiedo, la tua omelia domenicale”. Spadaro una parrocchia non ce l'ha ma si è sentito punto sul vivo ed ha accettato la provocazione: raccontare di Cristo ai lettori probabilmente poco “praticanti” del quotidiano grillino. Per farlo ha usato un linguaggio cinematografico, portare ogni settimana le persone sulla scena descritta dal Vangelo. Come essere lì, tra la folla, a vedere Gesù. Campi e controcampi, “tecnica” filmica che in realtà il gesuita ha attinto non da un manuale del cinema bensì dagli esercizi spirituali di sant’Ignazio, che portano il fedele a entrare visivamente nelle scene evangeliche.

Forse per questo motivo a presentare il libro sono stati chiamati due registi, Liliana Cavani e Marco Bellocchio, anzi tre, perché a distanza anche Martin Scorsese ha fatto arrivare qualche pensiero. Insieme a loro c’erano due scrittori, Eraldo Affinati e Nadia Terranova con Andrea Monda moderatore.

Comincia la Cavani, novantenne lucida e ancora piena di passione, col suo primo Francesco d’Assisi (1966) fu uno dei miti della contestazione giovanile che precorse il Sessantotto politico. “Il Vangelo è realtà oppure è niente” dice. Parla di questo Gesù che “spiazza sempre, è sempre eccessivo, si mette sempre di traverso”. Di quella follia - “una buona follia” - che è l’invito ad amare chi ti odia. “Solo un Dio poteva dire una cosa simile” commenta. Solo un Dio. Quanto è vero, detto da qualunque altro (che non sia Dio) ci suonerebbe falso, insincero, impossibile.

Solo i preti – certi preti – dal pulpito la domenica possono dirci con un sorrisino ispirato che il cristianesimo sia tutto lì, nel precetto di amare gli altri, come se solo di buona volontà si trattasse o poco più. Chi guarda con onestà a sé stesso, d’istinto sa che non funziona così. Se il cristianesimo fosse solo la morale del voler bene al prossimo, allora saremmo fritti, condannati alla tristezza.

Infatti, ci vuole l’onestà di un non credente dichiarato, come Marco Bellocchio, a cogliere il punto dolente. “L’esperienza di amare il prossimo, addirittura di amare il nemico a me è quasi impossibile, sconosciuta”. E allora, che fare, direbbe Lenin, rinunciare a questo ideale che pure avvince come nessun altro il cuore? Bellocchio non ci rinuncia: “Se venisse qualcuno, se qualcuno mi svelasse come sia possibile…” Gli uscivano queste parole, ieri sera, e forse non si rendeva conto che quelle parole erano una preghiera. L’unica vera preghiera possibile ad ogni uomo: la domanda, l’attesa di un Qualcuno che venga nella nostra vita, a rendere possibile ciò che umanamente sembra impossibile. Un miracolo, in certo senso, e lui Bellocchio non crede ai miracoli. Però… Però confida che ogni volta che vede Ordet, del grande Dreyer, si emoziona (“mi commuovo”) di fronte alla scena del “matto”, Johannes, che spinto dalla fede della piccola Maren, domanda a Dio il miracolo di resuscitare quella donna morta dopo il parto e viene esaudito…



Confidenza che non lascia indifferente Liliana Cavani. Che subito si riprende il microfono per dire che sì, anche per lei vedere il film di Dreyer è sempre un’esperienza unica, emozionante.

Sono i momenti più intensi della presentazione. Almeno, io li ho vissuti così. Ma c’è ancora da essere colpiti e da imparare. C’è il mitico Eraldo Affinati, grande scrittore, fondatore con la moglie delle scuole Penny Wirton, dove si insegna l’italiano agli immigrati. Lo avevo ingaggiato, a Tv2000, come commentatore dei grandi fatti di cronaca e il suo “minuto di…” era un appuntamento imperdibile. Eraldo dunque prende la parola e dice due cose su Gesù per nulla scontate. Che la rivoluzione di Cristo non può essere confinata nella dimensione sociale e politica. Che la questione del male è questione seria, con la quale non si può evitare di fare i conti (e infatti, spiega Eraldo, Gesù nel Vangelo non si lascia adulare dal giovane che lo chiama maestro buono: “perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo”). Nessuno è buono, tutti abbiamo bisogno di essere salvati. Questo, mi viene da pensare, non è un pensiero amaro di condanna. Ma di speranza.

Da scrittore Affinati pone, stavolta alla Chiesa, un’altra questione, quella del linguaggio con cui parlare della fede alle persone lontane dalle parrocchie o dai movimenti ecclesiali (ovvero alla maggioranza degli italiani). Dice che la fede non è un discorso e ne dà una definizione geniale: “il fidarsi di un’attrazione che è istinto di vita”. Dice che gli incontri - dove un’attrazione può rivelarsi - non sono mai casuali “come due monete che si incontrano nella tasca”. Poi cita la prefazione di papa Francesco al libro di Spadaro. Dove Bergoglio invita gli artisti a trovare “un linguaggio nuovo… che ci faccia vedere Gesù”. Eraldo mette i puntini sulle i. Non si tratta qui di brevettare nuove parole, di inventare chissà quali strategie comunicative. La scrittura non è “un gioco di polso”. Ci vuole piuttosto “un linguaggio certificato dalla esperienza… una parola che sia secrezione di vita”. Grande Eraldo. Ti ascoltassero i preti e non solo i preti.

Infine, si torna all’autore. Spadaro racconta dell’amicizia nata alcuni anni fa con Martin Scorsese. Dice che nelle ultime cene a casa dell’artista, a New York, hanno parlato anche di argomenti molto profondi. L’ultima volta hanno discusso della Grazia. Scorsese, racconta Spadaro, la traduceva esistenzialmente con una domanda molto concreta: “è possibile cambiare, è possibile un cambiamento?”. Secoli di discussioni teologiche sul rapporto fra grazia e natura non potevano essere tradotte in modo più mirabile. Risposta implicita, ma forse la più vera all’attesa di Bellocchio: sperare che “qualcuno venga” è come attendere la grazia di un cambiamento.








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